Attratività e Bellezza
pubblicato il 03 febbraio 2025 11.43
da Gianluca Campiglio in News
estratto dal Libro "Mi voglio così"
Nel corso dei secoli la bellezza ha giocato un ruolo fondamentale nella quasi totalità dei rapporti interpersonali e sociali. È stato così necessario ricorrere a modelli oggettivi predominanti e canoni estetici per tentare di spiegare il complesso rapporto tra ciò che gli individui vedono e il significato che attribuiscono a tale percezione. Rintracciare un canone oggettivo e universalmente valido del bello, infatti, risulta quasi impossibile. Ci aveva provato Fidia, scultore e architetto ateniese attivo intorno al 470
a.C. che, con la “sezione aurea”, aveva determinato attraverso formule matematiche l’ideale estetico dell’armonia. Questa proporzione ideale riuscì a influenzare per molti secoli la produzione artistica, ma fu subito chiaro che una rigida formula non esauriva un concetto così differentmente radicato nella soggettività di ogni individuo. Ecco, quindi, che si afferma il concetto tanto semplice ma ricco di implicazioni che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.
Per questo il significato di bellezza ha subito modificazioni così importanti secondo le epoche attirando nella sua orbita giudizi ed elementi che sfuggono al solo dominio estetico. Il concetto di bello diventa una categoria conoscitiva come la Verità, il Bene, la Giustizia. Un esempio per tutti: nella produzione di Dante Alighieri la voce “bellezza” non è mai presente nell’Inferno; s’incontra nel Purgatorio e nel Paradiso. Non si tratta però di un risultato che dovrebbe destare stupore, se pensiamo al concetto greco della Kalokagathia (‘καλὸς καὶ ἀγαθός’ che, letteralmente, significa ‘bello e buono’) che indicava nell’antichità una sintesi di armonia estetica ed etica. Del resto la connessione tra l’idea di bello e quella di bene appare chiara anche nell’etimologia del termine: in latino “bellus” (bello) è diminutivo di una forma antica di “bonus” (buono).
le proporzioni ideali del corpo umano in forma geometrica
Il mito, la leggenda e la tradizione narrativa popolare si inscrivono in questa suddivisione: le streghe sono brutte e cattive, le principesse belle e buone. Si pensi come il bambino nelle sue prime fasi espressive, ancor prima di utilizzare l’aggettivo “cattivo”, connota il comportamento negativo degli altri con l’aggettivo “brutto”. Il processo attraverso il quale la bellezza arriva a influenzare altri elementi della persona oltre alle variabili fisicoestetiche è chiamato in psicologia “effetto alone”; in sostanza chi è giudicato bello diventa immediatamente anche socievole, credibile, persuasivo, felice, buono, vincente.
Quanti antieroi mostruosi e orrendi, popolano la letteratura e il cinema e, di contro, quanti impavidi atleti della giustizia sono rappresentati da bellissimi campioni?
Venendo ai nostri giorni, con la diffusione dei mass media, le categorie estetiche, ossia quei giudizi socialmente condivisi che definiscono cosa è bello e cosa non lo è, hanno assunto una funzione marcatamente promozionale e commerciale. Il concetto di bello che nei secoli aveva animato filosofi, poeti e artisti arriva anche alla grande industria della comunicazione e subisce una manipolazione continua al fine di attrarre potenziali consumatori nei più svariati campi. Ecco che l’immagine della bellezza e, in particolar modo, della bellezza femminile è indifferentemente utilizzata per promuovere elementi anche molto distanti tra loro.
Il giudizio estetico diventa un “trascinatore” potente perché non riguarda soltanto una particolare qualità di un oggetto, ma il modo e il contesto in cui è percepito. L’immagine pubblicitaria dona all’oggetto che reclamizza un valore aggiunto, crea un immaginario simbolico da condividere. Il bel volto trasferisce a un semplice oggetto le sue qualità intrinseche: successo, positività, piacevolezza, bontà.
La stessa ricerca sociale ha investigato le determinanti dell’avvenenza fisica e le sue ricadute sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli individui. Al generale interrogativo “che cos’è la bellezza?” ritiene di poter rispondere attraverso due differenti posizioni. Da un lato la definizione di avvenenza fisica è legata al contesto socioculturale di origine, ossia Kalokagathia indicava nell’antichità una sintesi di armonia estetica ed etica a fattori contingenti che si determinano in un dato periodo e in data società. Dall’altro, invece, si pensa che sia possibile rintracciare degli elementi universali, indipendenti da fattori culturali specifici e che valgono per tutti.
Per dar conto della prima posizione si può fare riferimento a tutta l’iconografia legata alla rappresentazione del corpo femminile. Appare da subito come le immagini siano determinate dal gruppo socio-culturale e dall’epoca di riferimento: si passa dalle forme decisamente floride e abbondanti della Venere di Willendorf, una piccola statua calcarea risalente al Paleolitico Superiore (30.000 – 25.000 a.C.), alla proporzione misurata delle Veneri dell’antica Grecia, con seni e glutei poco pronunciati. Nei tempi moderni gli anni ‘50 hanno visto l’affermarsi delle maggiorate Sophia Loren, Brigitte Bardot, Marylin Monroe per poi arrivare negli anni ‘60 alla “donna grissino” di cui è icona l’esile modella Twiggy. Anche oggi all’eccesso di fisicità di alcune icone dello star system (Kim Kardashian) si contrappone l’esile magrezza di Kate Moss. Di volta in volta, quindi, uno stereotipo fisico ha simboleggiato non solo un ideale estetico da emulare, ma addirittura l’ideologia di un tempo: le giunoniche matrone romane dicono molto del potere economico di un’intera classe sociale e della mollezza dei costumi; le ieratiche madonne medioevali, con la magrezza e la consunzione dei visi e dei corpi, esaltano le virtù salvifiche di castità e purezza e condannano la sensualità come memoria del peccato primigenio.
Ogni individuo nasce quindi in una particolare cultura e da questa eredita un patrimonio di idee condivise riguardo alla natura della realtà; tra queste, la definizione di giusto e sbagliato, di cosa è bello e attraente e di ciòche al contrario non lo è (Richardson, Taylor, 1983)
Di contro la posizione secondo cui l’avvenenza fisica può essere considerata un aspetto indipendente dalle altre caratteristiche individuali è un pensiero relativamente moderno e su questo si appunta gran parte della ricerca psicologica. La bellezza, come caratteristica del corpo di un individuo, non è assolutamente legata alle altre qualità che rendono una persona apprezzabile, come l’intelligenza, il carattere o lo spirito.
Questo atteggiamento in Occidente ha ricevuto impulso dalla rivoluzione culturale degli anni ‘60 e fonda le sue radici nella critica illuministica che contrasta con l’idea classica di bellezza secondo cui quest’ultima era stata confusa con ogni genere di tabù, pregiudizi e convinzioni religiose. In opposizione a ciò la psicologia sperimentale ha dimostrato attraverso indagini empiriche che le persone concordano ampiamente nel giudicare la bellezza e condividono tali giudizi positivi indipendentemente dai fattori socio-culturali.
È proprio sul volto, ancor prima della fisicità corporea con le sue periferie (mani, gambe, piedi), che convergono il maggior numero di fissazioni oculari nei primi contatti visivi tra individui. Quando un individuo sconosciuto entra in una stanza nello spazio esiguo di quello che definiamo “colpo d’occhio” è possibile registrare con un particolare apparecchio fotografico quella che si definisce “mappa delle fissazioni oculari”, ossia quante volte il nostro occhio ha fissato un determinato punto della persona. Ebbene, senza che vi sia in atto un processo consapevole, in pochi secondi abbiamo esplorato solo molto superficialmente la periferia (gambe, scarpe) mentre il numero
maggiore di fissazioni oculari si è concentrato sul volto e sulle sue zone più espressive come gli occhi e la bocca attraverso piccoli e impercettibili movimenti. Già Lorenz (1943)2 aveva evidenziato che nell’uomo e in molte specie di mammiferi le caratteristiche morfologiche infantili di un volto sono simili.
Questi standard per la bellezza facciale che nonI tratti del viso di un neonato o di un cucciolo sono standard di bellezza universale sono soltanto universali, ma addirittura validi per diverse specie animali, si chiamano “baby face”. Si tratta di quei tratti che caratterizzano la faccia di un neonato e/o di un cucciolo: occhi grandi, fronte ampia, naso piccolo e tondo, guance paffute, bocca e mento piccoli, pelle soffice e di una colorazione diversa da quella degli individui adulti. Rispetto agli uomini, le donne, nel corso della vita, conservano lineamenti più infantili: un viso adulto di una donna si differenzia da quello di un uomo perché presenta sopracciglia più sottili e marcate, occhi più grandi, naso più piccolo, mascella più arrotondata e mento più affusolato. Questa differenza ha un valore per lo più adattivo, visto che la conservazione dei tratti più infantili si traduce in una manifestazione di maggiore fertilità, un segnale al quale gli uomini sono particolarmente sensibili nel momento in cui devono scegliere un partner. La presenza di questi elementi stimola nell’adulto
Chi è giudicato bello diventa anche socievole e vincente
Più attenzione e un atteggiamento di maggiore cura e protezione rispetto a coetanei dall’aspetto meno infantile. Allo stesso modo un volto adulto dai lineamenti infantili evoca un senso d’innocenza, spontaneità e vulnerabilità alla stregua di un viso infantile. Uomini e donne con occhi grandi e naso piccolo sono giudicati come più attraenti di chi ha occhi piccoli e naso grande.
Nella distinzione tra la bellezza dei volti maschili e quella dei volti femminili esiste una “regola” molto particolare. Mentre per le donne un’esagerazione dei tratti si traduce in maggiore bellezza, negli uomini questo criterio non vale, perché un viso maschile, per essere giudicato bello, deve offrire una giusta commistione tra tratti più marcati (zigomi alti e mascella robusta) e tratti più delicati (occhi grandi, naso piccolo e labbra pronunciate).
Le donne, in genere, preferiscono dei volti maschili dai tratti per lo più adolescenziali; basti pensare, per fare un esempio, allo strepitoso successo riscosso tra il pubblico femminile da attori come Leonardo di Caprio o Brad Pitt, i quali presentano la tipica conformazione facciale definita ”baby face”. Altri risultati hanno mostrato che i tratti del viso ipermascolini fanno percepire un’età più avanzata; per esempio gli uomini con la barba sembrano più vecchi di quelli che ne sono privi. Anche un’eccessiva peluria sul torace può essere percepita come non attraente. Al contrario, uomini glabri tendono a essere percepiti dalle donne come più attraenti. Ma attenzione: questo non può dirsi per la calvizie, maggiormente associata all’uomo maturo. La sua esagerazione non porta, come spesso si tende a pensare, a una maggiore attrattiva fisica.
A un viso con accentuazione di tratti ipermaschili si assegnano caratteristiche di dominanza e aggressività; il contrario avviene per un viso meno mascolino. Per questo molte pratiche cosmetiche ed estetiche tendono a mascherare alcune caratteristiche tipiche del volto maschile. Si pensi alla rasatura, con cui la maggior parte degli uomini cerca di dare un’immagine di sé più giovane e pulita.
Molte pratiche estetiche mascherano le caratteristiche tipiche del volto maschile
In conclusione, le strategie di autopresentazione dimostrano che le persone realmente motivate a un contatto soddisfacente con l’altro si sforzano di far emergere le proprie caratteristiche positive enfatizzandole. La ricerca della bellezza non ha una finalità puramente strumentale e narcisistica, ma risponde a un bisogno adattivo fondamentale, quello di preservazione dell’identità positiva con conseguenze importanti sul benessere psicologico.